Alzate laterali: non solo la biomeccanica esecutiva

Le alzate laterali riguardano un gruppo muscolare molto importante

In questo articolo parleremo di un gruppo muscolare a tutti noto per la sua importanza non solo dal punto di vista biomeccanico e funzionale, ma soprattutto per le credenziali estetiche ricercate in ottica culturismo. Dapprima una breve introduzione anatomica.

I deltoidi sono muscoli della spalla formati da 3 fasci che originano dal margine anteriore della clavicola, dall’acromion e dal margine posteriore della spina della scapola. La loro inserzione tendinea vede come punto comune la tuberosità deltoidea a livello dell’omero.

Le funzionalità biomeccaniche della spalla

Le funzionalità biomeccaniche della spalla sono molteplici vista la grande mobilità dell’articolazione che la compone: essa può lavorare sul piano frontale, sagittale e trasversale.

Questa grande capacità anatomica riflette, d’altro canto, una spiccata sensibilità a traumi ed infortuni vista la sua instabilità articolare.

I movimenti del deltoide

I movimenti compiuti dal deltoide, in maniera molto semplificata, si possono riassumere in:

  • Abduzione
  • Flessione
  • Elevazione
  • Estensione

I 3 fasci, e le relative funzioni, che compongono questo gruppo muscolare sono:

    • Deltoide (o fascio) ANTERIORE: flette in elevazione, intra-ruota e abduce l’omero
    • Deltoide (o fascio) LATERALE: abduce e flette in intrarotazione l’omero
    • Deltoide (o fascio) POSTERIORE: estende, abduce ed extra-ruota l’omero

Come sviluppare una corretta ipertrofia deltoidea

Concentriamoci su come sviluppare una corretta ipertrofia deltoidea, in particolar modo dei fasci laterali.

Ne ho viste di esecuzioni per allenare le spalle, ma credo di poter affermare che solo il 10% delle persone che frequentano la sala pesi sanno realmente allenarle come si deve. Il più delle volte vengono utilizzati muscoli che non rientrano nemmeno prossimalmente al coinvolgimento biomeccanico di tale distretto. Il che fa sorridere (o quasi).

La confusione regna sovrana nelle palestre, si raccomandano esecuzioni viste o tramandate da compagni, amici o istruttori per generazioni. Per quanto possa in parte essere giusto tutto ciò, vengono a mancare non tanto le nozioni biomeccaniche, quanto più le leggi sottoscritte alla soggettività, alla individualità esecutiva.

Questo non vuole essere un articolo che spiega a livello didattico come si dovrebbero eseguire gli esercizi per le spalle (ci sono tantissimi libri in merito), ma vuole essere una piccola guida capace di darvi informazioni ESPERIENZIALI in seguito alle varie tipologie di atleti che mi son capitati sotto mano in questi anni.

Le mie osservazioni

Quando mi arriva un atleta al check per la prima volta, guardo innanzitutto la sua struttura a livello scheletrico: se ha clavicole larghe o strette, se esse possono definirsi parallele al pavimento o diagonali (verso l’alto o verso il basso). Già questa semplice osservazione mi garantisce un quadro della situazione funzionale della muscolatura.

Di solito chi è impressivo sul palco (sia nelle categorie maschili che femminili) possiede una struttura iper/normo-clavicolare a cui si “agganciano” fasci deltoidei molto sviluppati e rotondi.

Le inserzioni rivestono un ruolo cruciale nel posing e fanno la differenza durante le contrazioni nei confronti di gara. Ovviamente non possiamo modulare le inserzioni muscolari dei nostri fasci, in quanto determinati dalla genetica di ogni individuo e dunque prettamente soggettive.

Al seguito della visione strutturale in studio (valutazione di forte impatto ottico), mi accingo a valutare la forma dei muscoli che si inseriscono su tale articolazione. Le forme possono essere di varia natura, ma di solito si suddividono in 2 grandi gruppi:

  • Rotonde
  • Spigolose

Le prime richiamano alla vista un aspetto piacevole ed impressivo, nonché armonico su tutti e 3 i fasci.

Le seconde danno un aspetto “ruvido” all’atleta (specialmente in relax) e di solito sono quelle che rendono di meno sulle pose frontali e di back.

La postura

Controllo innanzitutto la postura dell’atleta in questione. Le considerazioni posturali sono di rilevanza FONDAMENTALE in quanto asimmetrie degli emilati corporei possono compromettere lo sviluppo della muscolatura deltoidea, nonchè (direttamente associato) limitare fortemente la mobilità delle articolazioni scapolo-omerale e scapolo-toracica.

Tendenzialmente i test di mobilità articolare che riporto in studio sono sufficienti a capire le eventuali cause di ipotrofia deltoidea.

Una volta testati, porto l’atleta in sala pesi e valutiamo assieme gli esercizi per le spalle.

Il principale esercizio che faccio fare sono le alzate laterali con manubri

All’apparenza risulta essere un esercizio di semplice esecuzione, ma nella maggior parte dei casi gli atleti presentano difficoltà di attivazione del deltoide laterale. Non tanto per la scarsa connessione mente-muscolo, quanto per il coinvolgimento di altri muscoli che “mangiano” lavoro al fascio laterale.

Al tatto il deltoide si attiva, ma di pari passo si attiva anche il trapezio. Tocco il trapezio e il deltoide laterale dell’atleta e noto come ci sia sincronia di attivazione tra i 2 muscoli non appena si innesca il movimento. L’atleta in questione, vuoi per le clavicole svantaggiate che già impediscono un coinvolgimento “naturale” del fascio laterale e/o vuoi per scarsa propriocezione, si presenta con un deltoide parzialmente assente o nascosto da una muscolatura prorompente di trapezio, arti e/o romboidi.

Che fare?

La prima cosa che faccio è capire dove risiede il problema. Nel 90% dei casi la problematica è riscontrabile sul trapezio (fasci superiori).

Il primo step sarà DECONTRARRE il trapezio. Dico al soggetto:

Immagina di tenere i manubri in mano per 50 anni di fila: qual’è la posizione più ergonomica che assumeresti?

Con questo semplice input verbale egli inizierà a rilassare la muscolatura del trapezio e ad assumere un aspetto più “decontratto”. In caso non capisse, instauro un input tattile per fargli comprendere meglio quanto detto. Tendenzialmente questi soggetti sono molto impostati a livello scapolare e durante l’esecuzione presentano una postura a soldatino: petto in fuori e scapole semi-addotte. Un’esecuzione didattica oserei dire, ma poco funzionale al coinvolgimento del deltoide nella stragrande maggior parte di chi presenta una struttura poco affine a tale biomeccanica esecutiva.

Il secondo step è far capire il movimento del piano scapolare. La scapola si presta non propriamente sul piano frontale, ma segue un piano “tutto suo”. Per la precisione, l’angolo di lavoro della scapola sulla cassa toracica è di 30°. Il corretto scivolamento promuove una minor tensione della muscolatura addottoria ed un maggior coinvolgimento di quella abduttoria.

Ergo: la direzione dell’omero non sarà più esattamente laterale, ma verso la DIAGONALE-AVANTI. Così facendo si rispetterà il piano scapolare e vi sarà una minor collaborazione del trapezio.

Guido dunque l’arto dell’atleta verso il suo piano scapolare (soggettivo per ognuno di noi!!) che potrà dunque essere più o meno ampio a seconda della sua struttura articolare. Mi baso ovviamente sui feedback verbali e sensoriali dell’atleta in esame.

Terzo step: la complicità della catena. Questo è probabilmente la parte più difficile.

Già l’80% dei soggetti ha ricevuto una notevole scarica di attivazione sulle unità motorie con i primi 2 step, ma a volte non è sufficiente per attivare al 100% il deltoide laterale.

Per tanti, quindi, il semplice cambiare proiezione di lavoro riveste un grandissimo coinvolgimento del fascio laterale del deltoide.

Seguite bene i passaggi ed immedesimatevi in cavie da laboratorio.

Avete i manubri nelle mani (ovviamente)? Benissimo, SENTITELI.

Sì, avete capito bene. Sentite i manubri nelle mani. No signori, non sono pazzo. La percezione di cosa si ha nelle mani mette in moto una serie di schemi motori insiti nella corteccia motoria che ci permettono di attivare più muscoli in sequenza. Vedo tantissime alzate laterali che vedono una presa “a principessa”, ovvero con una presa poco salda; giustamente per coinvolgere MENO MUSCOLI possibili a discapito del promotore del movimento: il deltoide laterale. GIUSTISSIMO!! Non fraintendetemi!! Ma…se non si impara il PERCHE’ noi siamo fatti in una certa maniera, non capiremo mai COSA stiamo facendo e COSA succede all’interno del nostro sistema muscolo-scheletrico.

Sentire i manubri nelle mani

Dicevo, sentire i manubri nelle mani significa avere la concezione di presa da parte di tutte le dita, mignolo compreso (e soprattutto oserei dire, poi capirete).

Ora, ponete la mano in posizione semi-neutra: non prona, non supina, non totalmente neutra. Semi-neutra verso la posizione prona. Si già qui si fa una fatica immane a comprendere. Questa posizione del polso è simile a quella si utilizza per un curl inverso con bilanciere curvo. Perché questa presa? Perché è quella più naturale possibile. È quella che assumiamo quando siamo totalmente rilassati, ovvero quando coinvolgiamo (paradossalmente) più muscoli possibili. È chiaro, l’uomo nasce per essere conservativo, ovvero risparmia energia su qualunque azione per poter ricercare sempre l’equilibrio. In questo caso si cercherà non tanto la NON FATICA, quanto la semplicità del gesto motorio. Semplificando il gesto motorio e dando attivazione a tutta la catena (in questo caso la catena abduttoria), i muscoli collaboreranno per far si che sia quello con più tensione (dato l’angolo e il rom di lavoro attivo) a farsi capo del movimento.

E non è finita qui!

Input verbale:

Piega un pochino i gomiti e lascia il gomito lì dov’è.

Piegare il gomito aiuta a non sovraccaricare l’articolazione del gomito, mentre il “lasciare il gomito lì dov’è” è sinonimo di sollevare il peso con la partecipazione di tutte e 3 le articolazioni dell’arto: polso, gomito e scapolo-omerale. Attenzione: non è che il gomito deve rimanere fermo perché altrimenti si eseguirà un’extra-rotazione dell’omero mentre lo si abduce e non è certo ciò che vogliamo. No, il gomito rimane neutro.

Questo ci permetterà, appena il movimento sarà partito di far gravare la gravità (scusate il gioco di parole) sulla testa dell’omero, la quale richiamerà a se la compartecipazione della scapola che vedrà compiere una depressione. La depressione scapolare coinvolgerà il gran dorsale e il piccolo pettorale, stabilizzando l’articolazione ed evitando il coinvolgimento del trapezio, visto che deprimendo le scapole non c’è rischio che il moncone si elevi (non è raro che durante l’esecuzione si avverta tensione al dorsale).

A questo punto, siamo pronti per eseguire un’alzata laterale.

Fino a dove devo salire?

Bella domanda. Di solito tendo a fermare il movimento a circa 60°-70° di lavoro per minimizzare il lavoro del trapezio utilizzando quasi solo quello del deltoide laterale. A volte faccio arrivare pure prima, anche 40-50° in soggetti altamente ricettivi a livello del trapezio.

Cerco inoltre di far partire sempre il movimento da tempo zero, ovvero da fermi con la mano che si appoggia alla coscia. Questo perché dopo tot ripetizioni in un movimento nuovo, si rischia di richiamare lo schema motorio adottato precedentemente e dunque a reclutare la muscolatura che non vogliamo essere troppo attiva.

Consiglio inizialmente un t.u.t. molto lento, come 4-6’’ in concentrica lenta. Questo per far comprendere alla corteccia motoria un nuovo schema motorio contro resistenza, mandando più impulsi elettrici ai deltoidi laterali e promuovendo una più spiccata propriocezione del muscolo durante l’abduzione dell’omero.

In casi estremi, metto il soggetto seduto (evito l’attivazione della catena statica posteriore) ed in completa cifosi dorsale (si allunga maggiormente il trapezio) e faccio eseguire il movimento con i dovuti accorgimenti SENZA I PESI. Poi progressivamente aumento il carico fino a che non ha creato feeling con il movimento.

Questa tecnica vede il suo utilizzo come approccio INIZIALE all’esecuzione delle alzate laterali.

Non consiglio mai come dogma esecutivo per il resto della propria carriera in sala pesi, anzi.

Il tempo sufficiente a ribaltare la percentuale di attivazione tra trapezio e deltoide da (rispettivamente) 70-30% a 30-70% e il gioco è fatto. Si potrà tornare ad esecuzioni più classiche per una miglior connessione mente-muscolo e per instaurare un sovraccarico progressivo anche grazie all’aiuto del trapezio. Come vedete non voglio dire che il trapezio non debba più essere coinvolto nel movimento, anche perché vi aiuterà nel sollevare più carico durante i vostri allenamenti. Si tratta solo di metterlo per un po’ in stand-by e far fare il lavoro tutto al deltoide laterale.

Posture scorrette

Discorso diverso per quanto riguarda ipercifosi dorsale o scapole non aderenti al torace in posizione rilassata.

In questo caso, la sopracitata esecuzione è da considerarsi scorretta. La proiezione sul piano scapolare è già compromessa in partenza. Bisognerà agire sull’accorciamento della muscolatura centrale della schiena (fasci centrali e inferiori del trapezio, romboidi e rotondi) portando l’omero verso un’abduzione laterale. In questo modo si andrà a far aderire maggiormente la scapola al torace e ciò creerà i presupposti per una miglior propriocezione sul deltoide laterale.

Ad alcuni soggetti ho addirittura consigliato di elevare leggermente il moncone! Questo sempre per una minor tensione a carico del trapezio. Un muscolo troppo allungato rischia di perdere col passare degli anni la sua capacità contrattile e ciò può creare non pochi problemi non solo esecutivi, ma anche a carattere salutistico per il rachide cervicale.

Conclusioni

Non ci sono studi che provano che quanto abbia detto sia effettivamente vero, ma vi posso confermare da diretta esperienza sul campo che le alzate laterali sono una delle esecuzioni più difficili assieme a poche altre nel mondo del bodybuilding.

Il concetto fondamentale che si deve portare a casa è che ognuno di noi è altamente soggettivo nella sua somiglianza tra gli esseri umani. Una tecnica esecutiva non può essere adattata a tutti. Così come scritto in questo articolo non deve essere preso come la bibbia sulla propriocezione nelle alzate laterali.

Lungi da me dire e far comprendere tutto ciò. È solo un mio personale punto di vista, una visione più ampia della biomeccanica esecutiva, una via alternativa alle illustrazioni didattiche dei libri di anatomia funzionale a movimenti con i sovraccarichi in palestra.

Vi confido che ho sbagliato tantissime volte prima di arrivare a certe conclusioni e vi posso garantire che quanto trattato oggi ha fatto cilecca più di una volta. D’altronde sono un essere umano e come tale compio errori. Ma di una cosa posso essere certo: sono curioso. E la curiosità mi porta a comprendere quanto sia entusiasmante entrare nella testa, anzi in UN CORPO di un’altra persona, tentando di comprendere assieme a lei le meraviglie della cinetica umana.

Conscio di avervi trasmesso anche solo un po’ di curiosità, vi invito a testare quanto scritto. So che sarà molto difficile.

E mi raccomando, non perdete il prossimo articolo. Venerdì prossimo parleremo di propriocezione.

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